Il nostro "Diario di Bordo"...

Gli altri possono essere il tuo inferno, ma anche il tuo paradiso

 

~ Jean-Paul Sartre

LA NASCITA DEL DIARIO DI BORDO


 

L’idea del “diario di bordo”, mi accompagna fin da quando ero piccola perché ritengo che mantenere viva la memoria di ciò che è stato, rappresenta una “fotografia” da guardare ogni volta che lo si desidera. Inoltre le fotografie di gruppo hanno un fascino ed un valore evocativo molto forte.

 

L’idea di scrivere questo libretto insieme ad altri è nata in seguito al mio incontro con la mediazione. Ricordo di aver proposto per la prima volta questo progetto a Salvatore proprio nel corso dell’ultimo dei numerosi corsi e ricorsi che hanno caratterizzato la nostra conoscenza e comunque prima di mettersi seduti al tavolo della mediazione.

 

E siamo qui ora, insieme a tutti coloro che hanno aderito alla nostra Associazione e che desiderano continuare questo viaggio. Insieme proviamo a dipingere un quadro con i nostri colori; insieme siamo pronti a levare l’ancora.

 

Benvenuti a bordo e Buon viaggio.

 

 

 

 “MEDIARE” QUAL’È LA RAGIONE?  

 

A QUALCUNO PIACE STIRARE A QUALCUNO PIACE COSTRUIRE I PONTI.

 

 

IL PUNTO DI VISTA DI SALVATORE.

 

Mi sono chiesto molte volte quale sia stata la ragione per la quale mi sono avvicinato alla media conciliazione; la risposta ha tardato ad arrivare ma in ultimo mi è sembrata la più autentica e, come spesso avviene, la ragione era sempre stata sotto i miei occhi.

A me piace stirare!

Si proprio stirare, con il ferro da stiro, l'asse e tutto il resto.

Quando ero piccolo mi capitava spesso di guardare mia madre che stirava e mi piaceva l'idea della cura che lei metteva in quell'azione apparentemente semplice e banale. Da grande, quando andai all'università, vivendo da solo, scoprii che piaceva farlo anche a me.

Anche oggi, quando, sempre più raramente, mi capita di stirare, provo una certa soddisfazione nel rendere liscio ciò che era stropicciato, netto ciò che era imperfetto. Anche io metto cura nel gesto di stirare ed ho scoperto che ancora oggi questo mi dà una certa soddisfazione. Si pensi poi all'effetto di quel gesto; si rende indossabile un capo altrimenti non utilizzabile, si eliminano pieghe, grinze, difetti.

Una camicia ben stirata si indossa volentieri, ti sta bene, sembra fatta per te.

Capisco adesso il valore che ha per me una mediazione ben fatta. La rende adatta alla mia esigenza di nettezza, la rende il capo che vorrei indossare. Probabilmente anche per le parti in mediazione succede qualcosa del genere; forse anche per loro la mediazione rende liscio il loro modo di interagire, che col tempo era diventato ruvido.

 

 

IL PUNTO DI VISTA DI PAOLA.

 

A me invece piace l’idea di costruire i ponti! L’esperienza mi ha fatto capire che le domande delle persone richiedono risposte rapide e funzionali. Una risposta al loro bisogno reale. Quando mi è stata prospettata la possibilità di partecipare ad un corso per diventare mediatore, ho accarezzato subito questa opportunità, come qualcosa di prezioso comprendendo che avrei potuto esprimere e sperimentare altre parti di me. Ho pensato che avrei potuto essere ingrediente di un nuovo materiale che poteva portare a costruire ponti fra le persone in conflitto. Percepivo in modo chiaro e netto che al tavolo della mediazione le dinamiche sono diverse. A quel tavolo ci sono le persone, la loro storia ed il loro conflitto. Tutti ingredienti che avrebbero conferito al sapere tecnico del diritto, una nuova luce.

Sotto quella nuova luce, come un paziente ingegnere, avrei potuto costruire un ponte tra le persone.

 

 

LA NASCITA DELL’ASSOCIAZIONE  

 

 

COME TUTTO EBBE INIZIO

 

Era un pomeriggio piovoso dei primi di ottobre del 2009 quando, preceduto da una telefonata, il mio amico Renato Lazzerini passò a prendermi per portarmi a bere qualcosa. “Devo parlarti di una cosa importante … un nuovo progetto”, mi disse.

Già l’incipit mi aveva incuriosito ed ero abituato alle effervescente idee di Renato ma non potevo minimante immaginare che quella chiacchierata avrebbe dato una nuova svolta alla mia vita.

Avevo già sentito parlare della Media Conciliazione e mi ero interessato al dibattito parlamentare che ha preceduto la sua introduzione nel nostro sistema legislativo ma non mi ero formato una mia idea precisa.

“ … la nostra professione è finita” mi disse Renato, “ dobbiamo reinventarci, dobbiamo trovare nuove idee …”. Renato mi parlò del suo progetto; era grandioso e visionario; avremmo girato l’Italia per parlare a tutti delle grandi possibilità di risolvere i conflitti con la mediazione, avremmo costituito un’Associazione, avremmo creato due o tre grandi organismi di mediazione sul territorio nazionale che sarebbero stati centri di eccellenza, un nuovo faro della civiltà. Ero affascinato ed infastidito al contempo, diviso tra la necessità di concretezza e la seduzione di un sogno possibile.

Mi presi qualche giorno per riflettere. Ma mentre io riflettevo lui era già al lavoro. Dopo qualche settimana io e Renato partimmo per Matera per un appuntamento con il presidente della Camera di Commercio e, pochi giorno dopo il nostro rientro da Matera facemmo i biglietti aerei per Trapani dove avremmo incontrato il presidente dell’Ordine degli Avvocati e quattro consiglieri.

Il viaggio era cominciato.

 

Non si arriva mai tanto lontano come quando non si sa dove si voglia andare.

 

 

 

 

MATERA: MISERIA E NOBILTÀ

 

Prima di entrare nella stanza del presidente della Camera di Commercio Renato mi disse: “Siamo belli, eleganti, proponiamo una grande idea e non chiediamo soldi. Chi può batterci! Diavolo di un amico! Mi lascia spesso senza parole.

 

Come avevo detto, Renato era riuscito ad ottenere (non si sa come ma spesso è meglio non chiederglielo) un appuntamento con il presidente della Camera di Commercio di Matera.

Era un piovoso pomeriggio di aprile quando atterrammo all’aeroporto di Bari per poi raggiungere in auto la nostra destinazione, a Matera. La prima sorpresa è che ad attenderci troviamo una Mercedes blu con autista che ci porterà nel capoluogo della bella e dimenticata Basilicata. Ci sentiamo importanti, ambasciatori di un messaggio che avrà seguito; l’umore è alto durante il viaggio. Attraversiamo la Puglia ed entriamo in una Basilicata abbandonata progressivamente dagli insediamenti piccolo industriali ed artigianali che la arricchivano; ora la zona è depressa e visibilmente abbandonata sotto ogni punto di vista. A Matera alloggiamo in un B&B in centro, situato proprio a due passi dal cuore dei Sassi; abbiamo tempo per una visita. L’impressione è scioccante: la miseria che quei luoghi emanano è soffocante ed allo stesso tempo grandiosa. I materani devono essere, anche oggi, gente così; semplice e dignitosa. A cena prepariamo il nostro incontro con il presidente.

Il giorno seguente ci attendono alla Camera di Commercio. A riceverci un dinamico presidente, un assessore comunale suo amico ed invitato per l’occasione, il responsabile dell’ufficio legale della Camera ed un avvocato esterno, amico personale del presidente. La nostra presentazione è brillante, il progetto è grandioso; la Camera di Commercio di Matera può proporsi come capofila di un progetto che ha la finalità di diffondere la cultura della mediazione (… ecco l’idea della cultura che comincia a prendere forma …) e di creare un centro di mediazione con caratteristiche di eccellenza nel centro-sud Italia. Il presidente è un ambizioso, il progetto piace a tutti ma è ancora immaturo il contesto. Ci lasciamo con vigorose strette di mano, sorrisi ed il proposito di risentirci a breve per passare a considerare gli aspetti operativi.

La cosa non avrà però alcun seguito.

 

 

 

 

TRAPANI: AVVOCATI, CANNOLI ED IL SENATORE

 

La mia città dà il meglio di sé, a volte. Erano i primi giorni di maggio e tutto cospirava per una serie di incontri proficui. Renato andò a correre sul lungomare e tornò con il mal di schiena. Era innamorato della città e dolorante. La sera prima degli incontri puntura di Voltaren e aperitivo in centro.

 

Abbiamo un appuntamento, io e Renato all’Ordine degli Avvocati di Trapani con il presidente e cinque consiglieri. Sono interessati alle nostre proposte, la recente introduzione dell’istituto giuridico della media conciliazione civile scuote le loro certezze professionali, non li trova né preparati né concordi; le vecchie abitudini e le posizioni di rendita sono difficili da scardinare ma ci ascoltano con interesse.

Ne verrà fuori il mese successivo un evento formativo per i colleghi avvocati realizzato nella sala conferenze del più grande albergo della città, scelto poiché la sede precedentemente designata disponeva di 80/100 posti mentre le adesioni sono più di 300. E’ un vero successo di pubblico ma non riesco ad allontanare da me l’idea che molti fossero presenti solo per i crediti formativi anche perché molti ci ascoltano come se stessimo parlando delle teorie esoteriche che stanno alla base dell’allineamento delle piramidi di Giza con la costellazione di Orione.

La nostra prima visita a Trapani si conduce tra pranzi e cene nei migliori ristoranti tipici della città; aperitivi nei locali del centro storico ed altri incontri,

Ho sistemato Renato nella struttura di una mia amica, in centro storico; si tratta di un B&B ricavato dalla modifica del palazzo nobiliare della sua famiglia. Renato è molto colpito dalla cosa, gli piacciono certe attenzioni che hanno il fascino degli antichi fasti. Sospetto, dal suo atteggiamento sornione, che faccia anche un po’ il gattopardo; ma non quando siamo insieme.

Il giorno successivo incontriamo un senatore della Repubblica (berlusconiano, manco a dirlo), un “mammasantissima” come si dice dalle mie parti. Io lo conosco bene, gli presento Renato e i due si piacciono subito. Renato si esalta nell’esposizione delle nostre idee ed attira l’attenzione del senatore con quello che doveva essere il nostro asso nella manica. Trapani, per la sua posizione geografica, sarebbe il luogo ideale per ospitare un grande centro di mediazione internazionale attivo nel bacino del mediterraneo. Il senatore è “casualmente” membro per l’Italia del neonato Parlamento del Mediterraneo e ci parla dei molteplici problemi che gli imprenditori siciliani hanno, investendo nell’area nord sahariana dell’Africa, in paesi quali la Tunisia, Algeria, Libia, Marocco e degli sforzi che tali paesi stanno facendo per armonizzare le loro legislazioni e contribuire a risolvere i problemi delle aziende e degli imprenditori transfrontalieri. La stessa cosa vale per gli imprenditori e le aziende in Spagna, Grecia. La dimensione del progetto è veramente coinvolgente. Un grande centro di mediazione a Trapani potrebbe essere un tassello importante nel grande puzzle che si sta componendo. Il senatore ci incoraggia a fargli avere un progetto, dice che se ne interesserà. L’incontro finisce assaggiando ottimi cannoli, una vera specialità di quel luogo. Renato è molto soddisfatto di come siano andate le cose ma il nostro progetto che fine ha fatto?

Diceva G.P Sartre: “insegui il tuo sogno, seppur ti tormenta” Mi chiedo se sto inseguendo il mio sogno o se lo ho abbandonato alla deriva sulle spiagge del mediterraneo.

 

 

QUEL POMERIGGIO DAL NOTAIO

 

Cosa vuol dire dare vita ad una realtà che si è solo immaginata?

 

Eravamo in cinque nello studio del notaio C ((lo chiameremo così per evidenti ragioni di riservatezza) io, Renato, Papik, Matteo Biancalani, Gianluca Donatti, I PADRI FONDATORI..

Costituimmo la nostra associazione quel pomeriggio e, da bravi avvocati, avevamo preparato una bozza di statuto e regolamento che il notaio trasfuse nel suo atto quasi integralmente. Naturalmente aggiunse quelle tre o quattro formulette che avrebbero giustificato la sua parcella. Ma devo dire che fu cordiale, comprensivo dello spirito samaritano dell’iniziativa, della evidente scarsezza di mezzi e, alla fine, ci trattò bene.

A un certo punto giungemmo al dunque. Avevamo pensato alla struttura giuridica, a tutte le clausole ma, da bravi avvocati, non avevamo pensato al nome.

Il notaio ci lasciò in sala riunioni con la scusa di correggere le bozze e si aprì il solito dibattito articolato e complesso sul nome da conferire alla nascenda associazione. Quattro avvocati ed una psicologa; provate ad immaginare chi ebbe l’idea vincente, la più semplice, la più efficace. Dopo averci fatto sfogare con le proposte più ridondanti e pretenziose (e dopo averci sicuramente psicanalizzato) Papik prese chiese di parlare e disse semplicemente … “e se la chiamassimo ASSOCIAZIONE PER LA CULTURA DELLA CONCILIAZIONE”? Stremati dalla precedente trattativa e consapevoli che non saremmo mai riusciti a fare di meglio, tutti noi avvocati accogliemmo l’idea con soddisfazione.

Potenza della sensibilità femminile, esaltata dalla psicanalisi, sublimata da Papik.

Adesso avevamo anche un bel nome ma … il resto era tutto da fare.

 

 

 

I CIRCOLI DI STUDIO

 

Eravamo alla ricerca di un’iniziativa che legasse tra loro i componenti dell’Associazione ed al contempo che ci desse un po’ di formazione. Pensavamo ad una cosa leggera e non molto impegnativa per non pesare sulla già complessa organizzazione lavorativa e familiare di tutti noi. Ricordate che tutta la nostra esperienza in questa associazione ha una base volontaria!

In ogni caso, quando si parla di formazione la parola va all’esperto… ci venne dunque in aiuto Fabio che ci trovò (non so ancora bene come) un bando comunale che finanziava “circoli di studio”.

Fu così che ci trovammo tutti ad essere un po’ più… circolanti.

Fabio preparò la richiesta, formulò il progetto, preparò le carte necessarie per le docenze, organizzo le ore di lezione.

Dunque volenti o nolenti decidemmo di assumere un impegno fisso per il giovedì pomeriggio di ogni settimana per gli incontri (per fortuna avevamo immaginato una cosina leggera…).

La sede del circolo fu il mio studio e ben presto arrivò l’autorizzazione ed il finanziamento per pagare le docenze; ma, per dare un inatteso crisma di ufficialità alla cosa, arrivò anche un responsabile e coordinatore del progetto che, mostrando un’insospettabile dedizione alla causa, partecipò a tutti e dodici gli incontri del circolo!

Fu così che avviammo anche questo progetto che, tra qualche iniziale scetticismo e qualche iniziale insofferenza per l’opprimente ma necessaria cadenza settimanale (a noi avvocati guai a guastarci l’agenda…) ci condusse per dodici settimane attraverso varie e sorprendenti esperienze. Dallo psicodramma a sfondo conflittuale alle lezioni frontali del noto mediatore fiorentino, dalla simulazione alla rappresentazione teatrale della mediazione, il circolo si è condotto fino al termine dell’esperienza con allegria ed interesse e soprattutto cementando l’amicizia dei circolanti.

Posso dire senza tema di smentita che l’apogeo del circolo fu raggiunta quando uno dei docenti (un esperto di comunicazione mediante tecniche teatrali) ci convinse tutti a recitare il noto monologo di Amleto con il teschio.

Ve la immaginate la scena? Uno alla volta ai circolanti annichiliti e fortemente refrattari ad esporsi al pubblico ludibrio venivano concessi cinque minuti per leggere con patos e teatrale trasporto il famoso brano del bardo inglese: “Essere o non essere, questo è il problema…” Il docente serissimo, noi sganasciati dalle risate. Il suo obbiettivo era quello di dimostrare l’importanza dell’enfasi che il mediatore può dare alle parole, il nostro obbiettivo (più modesto forse ma reale) fu quello di assecondarlo per evitare peggiori approdi.

Insomma un pomeriggio da Centro di Salute Mentale.

 

 

IL RICORDO DI PAOLA DELLO STESSO EPISODIO

 

La prima volta salgo le scale dello studio di Salvatore e mi ritrovo nella sua stanza: ariosa e luminosa, musica classica di sottofondo, grande scrivania, cornici d’argento che ritraggono la sua famiglia. Fuma la pipa, un buon odore di tabacco. La finestra aperta sul terrazzo e fuori .....un giardino, piccolo ma curato.

Ero stata invitata ad una riunioni dei circolanti. Cosa mi ritrovo a fare ? Recitare: “ Essere o non essere, questo è il problema”.

Eh no, penso.... sono appena arrivata, non sono stata neppure avvertita di cosa avremmo fatto e si inizia subito con una prova di recitazione!

Vero è che Salvatore frequenta da anni una scuola di teatro e recitare “essere o non essere”....può essere una barzelletta, ma per me e gli altri......mica tanto.

Avevo due alternative, anzi una sola: mi butto!

Fra tutte quelle persone presenti nella stanza, riconosco qualcuno che manifestava palesemente lo stesso disagio che io avvertivo: mi avvicino a lui e lo incoraggio a provare .....del resto, anche lui non aveva tante alternative … lavorava nello studio di Salvatore. Il risultato della nostra prova di recitazione ve la lascio immaginare.

Ad un’altra riunione, una docente di psicologia ci intrattenne su temi assai interessanti quali la resilienza e l’empatia. Ero curiosa e la mente generava continue domande, che non esplicitai. Ma ricordo che prese forma, proprio allora l’idea della mediazione familiare che da un po’ di tempo accarezzavo.

E così, quasi magicamente, seguendo percorsi che in principio è impossibile immaginare, le scelte si maturano e diventano una concreta realtà. Quella sera decisi di partire per una nuova esperienza, quella della mediazione familiare.

 

 

L’IDEA DI LAVORARE CON LE SCUOLE

 

Quando mi convocava al suo studio per … “fare due chiacchiere sui nostri progetti …” sapevo che Renato aveva comunque qualcosa da dirmi, qualcosa di molto preciso.

Quel pomeriggio l’aria nella sua stanza era ferma, quasi afosa nonostante fossero i primi di giugno, mi pare, ma le idee circolavano leggere e libere come fiocchi di neve in una tormenta.  

Ad un certo punto il brainstorming si fermò più a lungo del previsto sui ragazzi e sulle scuole; era stata una mia idea ma Renato la trovò subito vicina alle sue corde. Da buon comunicatore sa essere anche un buon ascoltatore. Fu così che passammo almeno un’ora a teorizzare su come avremmo potuto attuare un progetto nato per caso da un’idea semplice.

Era una buona idea? Ci sembrava di si. Avrebbe avuto successo? Pareva ne avesse i presupposti. Ma con chi ne dovevamo parlare per dare attuazione all’idea? E soprattutto, chi ci avrebbe ascoltato?

Al momento solo una certezza sembrava bastarci: saremmo partiti per questa nuova sfida.

Qualche giorno dopo ne parlammo con gli altri membri dell’associazione, fu un’accoglienza calorosa. Tutti avevano suggerimenti ed apportavano nuovi innesti. Questo è l’effetto di lavorare con i giovani collaboratori, senti l’entusiasmo che scorre, lo percepisci negli occhi, nella tensione della loro voce. E’ emozione pura.

A quel punto ebbi la sensazione chiara che qualcosa stesse cambiando nell’Associazione, così per come era nata e la avevamo condotta fino a quel giorno. Stavamo mettendo a fuoco la nostra “missione.

Avremmo lavorato gratis!

 

 

RIUNIONE STRATEGICA A CASA DI FABIO

 

Ci trovammo un tardo pomeriggio nella splendida casa di Fabio e Deborah, tutti noi dell’Associazione, al fine di individuare e mettere a punto alcuni progetti di cui si parlava da tempo.

Coccolati dalla padrona di casa che aveva preparato vassoi di deliziosi stuzzichini e stimolati da ottimo spumante ben freddo le idee si susseguivano tra risate, prese in giro reciproche e brindisi sempre più deliranti.

Si sa i conciliatori sono in fondo dei crapuloni e noi non facciamo eccezione.

Ad un certo punto, quando ormai le proposte per le nuove iniziative rasentavano il ridicolo, venne fuori candidamente Sebastiano Del Santo che con la sua solita flemma inglese (e che spesso mi ricorda Hug Grant nei momenti migliori) disse: “Beh, considerate che mia madre è presidentessa del circolo culturale Lyceum di Firenze…”.

Lasciò cadere la frase così, come se fosse ovvio che noi fossimo già da tempo a conoscenza della cosa, quasi a rimproverarci di non aver considerato l’informazione con la dovuta attenzione.

Seguì qualche momento di silenzio, poi anche noi lasciammo cadere sulla sua pettinatissima testa scapaccioni e nocchini; volò anche qualche vaff…, se non sbaglio; ma non saprei dire da quale direzione.

Dopo le scomposte reazioni di giubilo (di certo aiutate dal tasso alcol emico ormai salito oltre il limite di legge) ci concentrammo sull’obbiettivo che era diventato quello di far fare bella figura a Sebastiano con la sua mamma organizzando al Lyceum una conferenza dal titolo “mediazione è donna. Maturità è saper affrontare il conflitto”

L’evento si tenne qualche mese dopo (tempo necessario per inserire la serata nel carnet già molto affollato di iniziative culturali dell’Istituto) nella bellissima ed austera sede di Firenze. Fu deciso che Sebastiano in perfetto assetto english style avrebbe fatto il moderatore, io, Renato, Papik e Bruno saremmo stati i relatori. Inoltre per distinguerci e dimostrare l’ampia disponibilità economica di cui da sempre l’associazione è dotata (…) decidemmo di offrire un rinfresco adeguato al livello dell’evento.

Vi anticipo che fu la serata più strana che io ricordi e ne ho passate di serate strane!

 

 

CONFERENZA AL LYCEUM DI FIRENZE

 

Tanto per cominciare (nella meschina intenzione di contenere i costi del buffet) facemmo ricorso ad ogni risorsa personale e professionale. Venne fuori un cliente di Lorenzo Paiano che ha un forno e che con modica spesa (e probabilmente dietro il velato ricatto di notule elevatissime) ci fornì una quantità industriale di salatini, pizzette, schiacciata e prodotti da forno. L’onore era salvo e la cassa pure.

Ci procurammo le bevande e lo champagne (a quel punto un semplice spumante non sarebbe stato adeguato al livello dell’evento) e ci recammo all’appuntamento. Sfortuna volle che io, Lorenzo Paiano e Andrea Marino, incaricati del trasporto delle voluminose vettovaglie, non riuscissimo a trovare un parcheggio vicino al nostro obbiettivo e pertanto fossimo costretti ad una lunga tappa di trasferimento, dai viali di circonvallazione fino alla sede dell’istituto, sovraccarichi di pacchi, vassoi e scatole di bevande. Inoltre pioveva e tirava un freddo vento di tramontana.

Mi venne in mente la canzone che intonavano gli alpini durante la prima guerra mondiale mentre marciavano lungo il Piave mormorante per proteggere i patri confini. “muti marciavan quella notte i fanti; tacere bisognava, andare avanti…”

Alfine, stremati dalla prova, giungemmo al Lyceum che ha sede al primo piano di un palazzo storico fiorentino.

Già il cupo androne del palazzo ebbe su di me l’effetto che il portone dell’inferno probabilmente ebbe su Dante (vedasi Divina Commedia, Inferno, canto III) giunti al piano superiore la cosa andò meglio… ma di poco.

Credo che fu l’influenza di tutta quella situazione a gettare su di noi, navigati conferenzieri, un’insospettabile e non desiderata serietà. L’incipit di Sebastiano, sotto lo sguardo austero ed al contempo benevolo (ma solo con lui…) della madre fu tutto un programma e gli interventi che seguirono non riuscirono a scrollarsi di dosso quell’aria austera e fin troppo sussiegosa e competente che nostro malgrado ci avvolse. Dalla platea ci guardavano stupefatte alcune colleghe (ed anche Paola Levani che sarebbe diventata socia dell’associazione alcuni mesi dopo), un folto pubblico di socie Lyceum, Fabio e Deborah, Lorenzo ed Andrea e, last but not least (come dicono i colleghi più bravi) anche Simone Scenarelli che prese anche la parola (e che alcuni mesi dopo aderì all’associazione). La conferenza fu molto apprezzata, se non altro per l’originalità del tema che trattava e ricevemmo i lusinghieri elogi della presidentessa e delle socie più anziane. A me rimase per settimane il dubbio che non avevamo parlato con il cuore, come siamo abituati a fare parlando di mediazione. Il rinfresco, ottimo e abbondante come il rancio dei succitati alpini, ci riscattò dall’opaca performance.  

 

Ero stata invitata da Salvatore insieme ad un ‘altra collega, ad assistere ad un incontro dal titolo interessante.

Arrivo puntuale all’appuntamento. Entro in un primo grande salone e su un lungo tavolo vedo “apparecchiati” libri scritti da alcuni associati, bigliettini da visita disposti su un vassoio d’argento ed altro materiale.

Subito mi sorge il dubbio di aver mal compreso ciò che mi era stato rappresentato sullo spirito con il quale era nata l’Associazione, ovvero quello che animava un gruppo di buon amici a riunirsi in salotti informali per lo studio e la diffusione della cultura della conciliazione.

Entro nella sala delle conferenze, mi siedo in fondo ed assisto con curiosità. E’ predisposto un palco sul quale si alternano i vari relatori. Nella forma gli interventi sono interessanti, ma io che assisto e che vivo la mediazione come acqua corrente, fluida, che cambia sempre forma, mi sento un pò stretta in quell’abito rigido, indossato dagli associati che strideva con ciò che pensavo di aver intuito su di loro e soprattutto su ciò che mi era stato rappresentato.

Al termine dell’incontro, in un altro grande e maestoso salone, era stato predisposto un ricco buffè; ma ricordo che non presi niente.

Per amor di verità, desidero precisare che tutto era preparato con cura ma l’impressione è che fossimo tutti un po’ sospesi. Quello che percepii essere un tocco di spontaneità fu l’intervento non programmato di una persona invitata come me, che manifestò con spontaneità tutta la sua passione per la mediazione perché disse: “Mediatori si nasce”.

 

 

30 GENNAIO 2014 FORUM AL LICEO CLASSICO MICHELANGELO DI FIRENZE

 

Eravamo in una profonda crisi di creatività, noi dell’Associazione, ed eravamo delusi dal mancato perfezionamento di un accordo che avrebbe dato nuovo slancio al nostro progetto di divulgazione della Cultura della Conciliazione nelle scuole.

Come avviene a volte l’aiuto ci giunse da chi meno te lo aspetti. “ Ti offro un’occasione per parlare della Mediazione” mi disse una sera a cena mia figlia Maria Vittoria, terzo anno del liceo classico e da sempre di poche parole; “nel Forum del Mike”.

La guardai con malcelato orgoglio. Aveva già organizzato tutto, dovevo solo definire i dettagli con il rappresentante di istituto e concordare con i membri dell’Associazione la disponibilità per la data.

Il giorno del Forum al liceo Michelangelo avevo addosso la solita euforia che mi prende quando devo parlare ai ragazzi della Mediazione, forse accentuata da un paio di bicchieri di buon chianti con i quali avevo accompagnato il pranzo insieme a Renato prima dell’appuntamento a scuola.

Cominciano ad arrivare nell’aula che l’istituto ci ha destinato i ragazzi che spontaneamente hanno deciso di partecipare all’iniziativa; visi curiosi, occhi intelligenti, modi rispettosi, un certo inspiegabile entusiasmo. Ricordo di aver pensato: “ma siamo sicuri che non abbiano sbagliato aula…?” e soprattutto, “ … ma dove sono i giovani che non sanno parlare di niente, che non credono in niente, che non hanno valori né interessi …?”

Alle 14:30 precise cominciamo; loro sono 43 noi 7!

Si genera un’emozione potente quando parli ai ragazzi di una cosa in cui credi anche se a volte non riesci a capire se sei riuscito a trasmettere il messaggio.

Ferdinando, prima fila, primo anno, tratto elegante, una simpatica erre moscia, occhi intelligenti, ci fa una domanda molto pertinente al termine di uno degli interventi dei relatori. E’ fatta, hanno capito!

 

Io arrivo un po’ prima al Michelangiolo, entro nell’androne e subito inizio a guardare con occhi curiosi questi ragazzi. Sembrano belle persone, volti puliti, sguardo intelligente. Sorrido, e una ragazza mi si rivolge gentilmente e mi chiede: “Signora, sta cercando qualcuno?” E penso: “sono anche attenti e gentili”. Arrivano gli altri associati. Siamo tutti. La situazione viene presa in mano con decisione e ci avventuriamo nel Liceo, entriamo in aula: grande, luminosa, lo schermo pronto, tante sedie. Iniziano ad arrivare gli studenti….. L’aria è frizzante e corre energia. Inizia l’incontro. Non siamo in un’aula di Giustizia e tutti cambiamo un po’ pelle e suoniamo corde diverse. Prosegue tutto in modo armonioso, alternando momenti brillanti a momenti più quieti, in una bella sintonia.

Conclude l’incontro Papik che per la buona riuscita ha rinunciato al suo intervento ma, con abilità e giuste parole, conferisce una bella cornice al quadro d’insieme.

Il messaggio è arrivato, gli studenti fanno domande, sono perspicaci e penso ”Fra 20 anni potrebbero essere lontano, sono un patrimonio da tutelare ad ogni costo ed   anche una grande responsabilità ”.

 

 

LA VISITA ALLA CASA DELLA GIUSTIZIA

 

Al termine dell’incontro al liceo Michelangelo viene proposta ai ragazzi ed ai docenti un’esperienza sul campo che decidiamo di chiamare, forse un po’ enfaticamente, “visita alla Casa della Giustizia”.

Il giorno dopo l’incontro arrivò un e-mail di Salvatore in cui si dichiarava soddisfatto perché i nostri interventi al liceo avevano avuto un buon riscontro e cospicua era l’adesione all’iniziativa alla Casa della Giustizia.

Si trattava dunque di organizzare per la data del 14 Marzo 2014 una visita guidata di trenta ragazzi e di quattro docenti al nuovo Palazzo di Giustizia.

Comprendiamo senza dircelo esplicitamente che in quella occasione è importante che questi ragazzi abbiano la possibilità di percepire le diverse modalità di risoluzione del conflitto e siamo contenti di aver creato un ponte fra il mondo dei ragazzi e il mondo della Giustizia, così distante da loro.

Ci impegniamo, ciascuno a suo modo, perché tutto vada bene. Desideriamo che sia tutto perfetto senza sbavature e che i ragazzi si sentano coinvolti. Ciascuno dei partecipanti sente la responsabilità di dare il meglio di sé.

Appuntamento fuori del Palazzo di Giustizia alle 11 per accogliere i professori e gli studenti. Ci siamo divisi i compiti: nel discorso di presentazione del Palazzo di Giustizia ci poniamo come obbiettivo quello di veicolare le parole con modalità che i ragazzi (che sono, non dimentichiamolo, i veri protagonisti della giornata) possano comprendere. Abbiamo coinvolto davvero tutti e le Istituzioni che presiedono l’organizzazione del palazzo sono state molto collaborative. Interviene un delegato del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati che ci accompagna per tutta la visita. Nella prima parte, accompagniamo i ragazzi nelle aule di Giustizia: i Giudici sono gentili e disponibili; interagiscono con i ragazzi dando le necessarie spiegazioni circa ciò che sta accadendo in aula. Accoglienza parimenti calorosa viene riservata ai professori e studenti da parte dell’Organismo di Conciliazione dove si svolge una simulazione messa in scena da noi mediatori. Ognuno fa la sua parte con impegno, serietà e tanta energia. Si conclude tutto con un bel buffè studiato per i ragazzi: pizza, bibite ed un ricordo per tutti i partecipanti.

 

 

IL SEME GETTATO PER IL GRANDE PROGETTO CON IL MIUR

 

 

LA VERSIONE DI PAOLA

 

Quando veramente si crede in quello che si fa (e nella bontà del messaggio che si vuole diffondere) si possono generare delle opportunità che consentono di proseguire nella realizzazione di un progetto iniziato da altri.

Come precedentemente esposto da Salvatore, l’Associazione era in crisi di creatività; vi era anche un sottofondo di amarezza per le alterne vicende della mediazione. Quella di lavorare con le scuole era stata un’idea di Salvatore, condivisa da Renato e prospettata a tutti gli altri associati che allora erano presenti. Come già narrato, diversi associati avevano già attivamente lavorato per diffondere il messaggio nelle scuole.

Io, insieme ad altri, sono intervenuta in Associazione dopo che un pezzo di strada era già stato percorso. Sentendo i ragazzi molto vicino alle mie corde la possibilità di contribuire attivamente mette immediatamente in moto la mia parte creativa. Proprio da lì nasce l’idea della visita alla Casa della Giustizia. Ma, come talvolta avviene quando ci lasciamo guidare da ciò nel quale crediamo e dall’entusiasmo, siamo andati oltre.

Al termine dell’incontro al liceo Michelangelo (che è il primo al quale io ho partecipato) ci intratteniamo con il professore di storia, referente dell’iniziativa, ringraziandolo della disponibilità e chiedendo se ciò a cui aveva assistito era ritenuto uno strumento valido ed interessante per la formazione e l’arricchimento degli studenti. Nello scambio di opinioni che si genera gli chiediamo se ci potesse suggerire ulteriori modalità per la diffusione della cultura della conciliazione.

Il giorno successivo arriva un’espressa conferma della bontà del messaggio che andiamo diffondendo . Il professore ci aiuta a mettere un ulteriore mattone per la realizzazione del nostro progetto: IL MUIR.

Ringrazio personalmente il professore di storia, per il suo interessamento e per il suo contributo alla diffusione del messaggio della mediazione.

 

 

LA VERSIONE DI SALVATORE

 

Cosa rende unica un'iniziativa ben riuscita? L’intuizione.

Le cose andarono più o meno in questi termini (salva una certa libertà narrativa concessa all'autore di questa storia):

Era presente all'evento, insieme ai ragazzi, uno dei docenti del liceo, docente di storia di grande preparazione e molto apprezzato dagli alunni. Posso testimoniare - per averlo conosciuto personalmente - che sia uomo di grande sensibilità, attento, dal tratto elegante e delicato nei modi.

Lo chiameremo il professor B.

Al termine delle due ore che avevamo dedicato ai ragazzi del Mike per parlare loro della mediazione si avvicinò il professor B per congratularsi con noi e per scambiare qualche opinione.

- Prof. B: “complimenti, siete riusciti a tenere alta l'attenzione dei ragazzi per più di due ore”.

- Paola: “magari la prossima volta potrebbe aiutarci anche lei a tenere una lezione di questo tipo”.

Il professore ebbe un momento di esitazione ma poi rispose con pacatezza.

- Prof. B: “non ho le competenze per questa materia ma grazie per la proposta”.

- Paola: “Lei sarebbe in grado ed in ogni caso sono sicura che ci potrebbe indicare un altro docente che potrebbe essere interessato”.

Fu l’intuizione di cui parlavamo in apertura.

- Prof. B: “potrei parlare con la preside dell'istituto... lei ha molte conoscenze... anche presso l'Ufficio Scolastico Regionale della Toscana... potrebbe essere un buon contatto per la vostra Associazione”.

Lo disse con molta semplicità, sorridendo, ma i suoi occhi ebbero un guizzo quasi impercettibile.

Fu per la nostra Associazione un’opportunità che Paola abbia avuto quell’intuizione e che il prof. B fosse un uomo di parola. Pochi giorni dopo scrisse una mail al mio indirizzo di posta elettronica comunicandomi che all’Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana (diretta emanazione regionale del MIUR) erano interessati al progetto e che attendevano una mia telefonata per parlare della mediazione nelle scuole.    

Questa storia ha dell'incredibile ma vi assicuro che è esattamente ciò che accadde.

 

 

 

I MAGNIFICI TRE E LA PROVA DEL NOVE

 

Vi chiederete perché questo paragrafo abbia questo titolo. E’ frutto della creatività di un associato.

Dopo i necessari contatti ed una faticosa ricerca della data giusta per tutti, ci incontrammo presso la sede fiorentina dell'Ufficio Scolastico Regionale della Toscana. Eravamo in tre (come i tre briganti ed i tre somari della nota canzone di Domenico Modugno degli anni 70) io, Bruno Magheini e Papik mentre i rappresentanti del MIUR erano in due, indaffaratissimi e pieni di scadenze per progetti scolastici già programmati.

Ho capito, solo stando con loro per qualche ora, quanto complesso ed articolato sia il mondo della scuola e quanta fatica facciano in quegli uffici a coordinare le direttive ministeriali con il lavoro sul campo nelle singole scuole sul territorio. Sono veramente ammirevoli.

Presentiamo loro il progetto anche consegnandogli un documento riassuntivo e ricco di ambiziosi obbiettivi che avevamo preparato in precedenza, ed il tempo sembra fermarsi. Improvvisamente i cellulari vengono messi in modalità silenziosa, i loro occhi si fanno attenti. Mentre io e Bruno parliamo, anche la loro postura sulle poltrone cambia. Avevamo catturato la loro attenzione; era il primo buon risultato.

Poi, quasi inaspettatamente, entra in campo Papik (lei si che se ne intende di formazione) e pronuncia le parole magiche. Qualcosa del tipo “... dobbiamo focalizzare l'obbiettivo formativo …”.

A quel punto si aprì una ridda di proposte ed una sorprendente sequela di idee che portò alla fine di quasi due ore di riunione alla definizione del seguente progetto: l'Ufficio Scolastico Regionale si sarebbe fatto carico di individuare nove presidi di altrettanti istituti superiori di Firenze prospettando loro il progetto di inserire la media conciliazione nel piano formativo annuale nelle scuole. Questi nove istituti, previa una valutazione di gradimento del progetto ed una presentazione nei rispettivi consigli di istituto, saranno i tester del progetto.

Ecco perché la prova del nove.

La presentazione ai presidi avviene il 28 maggio 2014 ed è un'esperienza unica; io mi sento sotto esame (come se fossi tornato a scuola e fossi davanti alla commissione d'esame della maturità) e sono un po' nervoso. L'atmosfera è quasi formale ma dopo i primi minuti l'ambiente si trasforma, i presidi sembrano interessati e cominciano a fare domande. Ognuno porta il proprio vissuto sul tema del conflitto e ci parla dei problemi del proprio istituto, L'impressione è che rimangono tutti un po' sulle loro, da principio, ma l'epilogo sarà che tutti proporranno il progetto ai propri consigli di istituto. Tutto è sub judice fino a settembre. Ci giochiamo una carta importante, la posta è alta. L'Associazione sarà in grado di giocare questa partita? Ne parlo con qualcuno degli associati tutti sono ottimisti. Io conservo i miei dubbi e le mie preoccupazioni, almeno fino a settembre.

 

Per inciso, il progetto è partito ed abbiamo già completato gli interventi in due istituti mentre il terzo è già in programmazione. Si compie la missione dell’Associazione. Diffondiamo la cultura della conciliazione nelle scuole… gratis. Naturalmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   RIFLESSIONI SUL TEMA DELLA MEDIAZIONE.  

 

 

L’ASPETTO DELLA CURA

 

Occorrerebbe porre più attenzione a questo aspetto della “cura” nel gesto del mediatore. Dovremmo domandarci cosa voglia dire per noi accettare una mediazione, incontrare le parti, accoglierle nella stanza, presentare le regole del procedimento ed in ultimo ascoltare le loro storie; a lungo, senza fretta, senza pregiudizi, senza giudicare, solo ascoltandole e cercando di capire. Cosa vuol dire accostarsi a quelle persone fino ad allora sconosciute con i loro limiti con le loro rigidità, con i loro vissuti a volte dolorosi ed incerti.

Cosa vuol dire prendersi carico dei problemi degli altri e tentare di risolverli?

Che valore ha per noi il tempo (molto) che dedichiamo a questa attività ed il compenso professionale (poco) che ne ricaviamo? Per cosa lo facciamo? Per chi lo facciamo? Per gli altri? Per noi stessi?

Se riuscissimo a rispondere a queste domande saremmo dei mediatori migliori e forse anche degli uomini migliori.

 

 

GLI ASPETTI DISSONANTI DEL PROCESSO CIVILE

 

Tanto il processo civile appare rigido, schematico, ingessato e sproporzionatamente dilatato, tanto la mediazione appare flessibile, fluida ed a volte incerta nello schema e nella forma.

Tanto sono diversi i due procedimenti che chi non conosce a fondo la mediazione non la capisce, non ne comprende la struttura e nemmeno la finalità.

Chi conosce entrambi, invece, con difficoltà sempre maggiore riesce a vivere la rigidità del processo civile, quel distacco incolmabile che separa le parti, quell'azione sempre imperfetta del giudice che inevitabilmente scontenta tutti. Un epilogo spesso intuibile fin dalle prime battute. Da un certo punto di vista un avvocato con una certa esperienza riesce da subito a cogliere i punti deboli del proprio assistito nel processo che sta radicando e nel corso dell'istruttoria il probabile epilogo diventa ancora più chiaro. Diventa quasi rattristante tuttavia riuscire ad intuire con troppo anticipo come andrà a finire. Ce ne vantiamo con il cliente di prevedere l'epilogo di un giudizio. Diventa un indice di esperienza ed un vanto. Ma che noia!

Che differenza con la mediazione! Sempre imprevedibile, sempre diversa dalla precedente sempre centrata sull'uomo e non sulle norme.

 

 

ELOGIO DELLA FLESSIBILITÀ

 

Se c'è una cosa che ho imparato in questi ultimi anni, anche grazie alla media conciliazione, è l'importanza della flessibilità.

Direi che l'idea della flessibilità possa essere considerata l'opposto, il contraltare forse, della rigidità. Mi viene in mente, per rendere più chiara l'idea che voglio far passare, l'immagine dell'alpinista sulla parete di roccia paralizzato dalla paura ed anzi (questo rende ancora più chiaro il concetto) immobile e disperatamente aggrappato ai suoi appigli. Nella sua posizione egli non riesce ad andare più avanti nella sua scalata ma, quel che è peggio, egli non riesce a tornare neanche indietro. Tanto è grande la paura di lasciare la sua posizione che egli rimane immobile.

Ebbene questa immagine ci rappresenta la situazione in cui può trovarsi chi non riesca a staccarsi dalle proprie idee; di chi considera sempre giusto quello che fa e quello che pensa, di chi non considera possibile un'altra visione delle cose. In altre parole, rimanere immobile è quello che accade a chi è rigido, a chi considera le proprie posizioni immutabili perchè sempre giuste, a chi non rischia, a chi non cambia mai idea,

Il mondo ideale che a volte mi rappresentano le persone tutte d'un pezzo mi spaventa perchè temo di scoprire ad un tratto tutta la loro fragilità, così gelosamente celata dietro quella loro rigidità.

Ho scoperto che si vive meglio se si è disposti ad accettare l'idea che ci sia un altro punto di vista che non si è considerato, quando si è cedevoli, all'occorrenza.

Le regole, benchè indispensabili ed a volte persino rassicuranti, rischiano di sclerotizzare l'animo umano, la loro osservanza ottusa rischia di trasformarci in monoliti, in persone poco simpatiche, poco accoglienti, troppo egocentriche, sempre convinti di essere dalla parte giusta, sempre pronti a dire agli altri (che spesso neanche ce lo chiedono) cosa sia giusto fare e come ci si debba comportare.

In quest'ottica distorta le persone caratterialmente rigide hanno sempre ragione mentre gli altri hanno sempre torto. La cedevolezza richiede però una certa sicurezza nel carattere ed una certa forza d'animo. Posso capire che una persona insicura sia rigida poiché attinge dalla propria struttura di pensiero e dalla rigidità delle regole una certa dose di sicurezza. Tuttavia questo atteggiamento mostra presto tutti i suoi limiti.

Praticando l'apertura verso gli altri col tempo si assume un diverso atteggiamento personale, si accoglie l'idea che non abbiamo sempre ragione e che la nostra posizione non sempre è quella giusta e che comunque non è la sola praticabile, Cedevolezza non è debolezza ma maturità, Flessibilità non è incertezza ma coraggio.

Questo breve elogio della flessibilità è dunque un invito ad abbandonare le proprie posizioni. E’ un incoraggiamento rivolto all'alpinista a mollare gli appigli ed a continuare la sua scalata verso la vetta.

 

 

I NOSTRI COMPAGNI DI VIAGGIO

 

Da tempo, penso che gli incontri non siano mai del tutto casuali. A volte non lo si comprende subito. Con alcuni possiamo percorrere un metro, con altri un chilometro, con altri ancora più strada. Questo cammino all’interno della nostra Associazione ci ha uniti un po’ tutti, anche se in modo diverso, perché condividiamo uno stesso obbiettivo: la diffusione della cultura della mediazione, che è molto di più di ciò che il decreto 28/2010 delinea. E’ un modo di essere.

Ciascun navigante ha molte anime, tante corde diverse che possono suonare musiche differenti. Ciascuno ha competenze specifiche che ha messo a disposizione per la diffusione di un messaggio condiviso.

Se fossimo ad uno dei sempre più frequenti programmi di cucina potremmo definire la nostra unione una torta dal gusto unico;

Siamo ciascuno un ingrediente diverso con un lievito comune: la mediazione.

Mi auguro che saremo dei buoni cuochi e che non bruceremo la torta!

 


 

QUI METTEREI I QUATTRO CONTRIBUTI CHE ABBIAMO

(Andrea, Fabio, Matteo, Simone,) - in ordine alfabetico.


LA DANZA DELLA CREATIVITÀ

 

 

Un incontro creativo è un magico fluire di energie

 

che ti arrivano dritte, dentro, che ti fanno sentire incantato,

 

vivo, un po’ stordito, mentre la mente danza.


 

 

 

   GRAZIE  

 

Associazione per la Cultura della Conciliazione.

 

E come in un quadro a più mani, ciascuno ha dipinto una pennellata con il proprio colore: da un'intuizione di Salvatore e Renato (e sicuramente in un contesto generale di indifferenza e anche di ostilità) nel giugno del 2010 è nata l'Associazione per la Cultura della Conciliazione. Il pretesto, più che il motivo determinante, è stato l'entrata in vigore della Mediazione Obbligatoria, infatti nella mente degli ideatori l'Associazione avrebbe dovuto perseguire lo scopo di diffondere il messaggio che è possibile risolvere i conflitti interpersonali in modi alternativi e più umani, se non addirittura (con una certa "modestia") contribuire al cambiamento della forma mentale delle persone nel senso del miglioramento della qualità delle relazioni interpersonali.

Personalmente ne ho fatto parte quale socio fondatore, poi era evidentemente scritto che il futuro mi avrebbe allontanato, cosa che è successa nel 2012.Ricordo con piacere di avere partecipato a tutti i primi passi iniziali dell'Associazione e di avere percepito con forza l'entusiasmo di Salvatore e Renato nel dare corpo alla loro idea. E' un qualcosa del quale, con molta difficoltà, cerco di fare tesoro ogni giorno.

In particolare posso testimoniare in modo diretto circa l'entusiasmo e l'impegno di Salvatore, il Presidente, al quale rivolgo un ringraziamento particolare per avere avuto la fortuna ed il privilegio di poterlo conoscere e frequentare professionalmente per quasi 6 anni, soprattutto per gli insegnamenti umani e professionali che mi ha lasciato.

 

Matteo Biancalani